IL QUARTIERE

Una nuova sfida…
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Con un gruplogo_Quartierepo di colleghi, qualche mese dopo fondo un nuovo giornale “IL QUARTIERE” e per me rappresenta il ritorno alla carta stampata, una nuova possibilità per iscrivermi all’Albo dei giornalisti pubblicisti e un progetto importante a cui dare forma, di cui essere completamente responsabile. In sei mesi abbiamo aumentato la tiratura della vecchia stampa di quartiere che avevamo trasformato, abbiamo creato una web tv “IL QUARTIERE.TV”logo_QuartierePuntoTV09

 

 

 

 

 

EUROBLIND 2013 – CAMPIONATO EUROPEO DI CALCIO A 5 PER NON VEDENTI

Euroblind_PartnerUna delle prime cose che ti insegnano quando inizi a scrivere “per lavoro”, è che non c’è metodo migliore se non quello di incanalare le emozioni quando sono ancora calde. Perché, dicono sia l’unica via per trasferirle a chi ti leggerà e far sì che questo le faccia proprie.

Ci sono casi, però, in cui non si riesce ad incanalarle quelle emozioni, momenti in cui il foglio bianco di un programma di scrittura sembra davvero troppo bianco per essere riempito: troppo grande per quello che riesci a scrivere o troppo piccolo per tutto quello che avresti in mente, ma che non riesce a concretizzarsi attraverso le tue dita.

Non mi è capitato tante volte di sentirmi così. Quando vuoi “scrivere per mestiere”, impari a farlo in ogni circostanza, con qualunque stato d’animo e qualsiasi gioia o tormento interiore. Il non riuscirci lo vivi come una sconfitta, come una pecca negativa per il tuo lavoro, come se fossi mancata all’appello e avessi dimostrato di non essere all’altezza di quello che vorresti fare nella vita.

E’ frustrante perché è un continuo mettersi alla prova: tu che vuoi fare della scrittura il tuo mezzo di comunicazione con il mondo, se non riesci ad usarla è come se perdessi ogni possibilità di contatto con chi ti sta intorno. Hai qualcosa di grande dentro, ma non riesci ad incanalarlo in alcun modo, ci provi, ma non ce la fai e, oltretutto, non conosci altra forma di comunicazione, meglio non ne conosci una così a fondo da poterla padroneggiare e usare consapevolmente. In questi casi la parola serve a poco, perché molto spesso, chi comunica scrivendo è il peggiore degli oratori.

Ecco questo è uno di quei pochi casi in cui quelle emozioni ho dovuto farle decantare a lungo, non so nemmeno se questo è il momento giusto per provare a metterle nero su bianco, ma di certo è meglio di un paio di settimane fa o, andando a ritroso, sembra più consono questo momento piuttosto che questo stesso istante, ma quattro mesi fa.

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Ho sentito dire che per comprendere appieno questo sport si debba superare la barriera, io non so se salire su un pulmino in Liguria e scendere in Sicilia sia la stessa cosa, ma certo è che quel viaggio qualche dubbio l’ha sciolto. Ho lasciato decantare tutto quello che mi era scoppiato dentro dopo tutti quei kilometri, dovevo scrivere un documentario, ma non trovavo il modo di descrivere a parole quello che mi era successo. Una fatica immensa, mi era stato chiesto di raccontare con parole e immagini e io non riuscivo a trovare la quadra per farlo. Sconfitta, avevo mille idee in testa, vedevo quel documentario delinearsi nella mia mente, ma non riuscivo a farlo diventare realtà; quando mi è piombato tra i piedi l’Euroblind, quello stesso sport che rientrava dalla finestra e ricominciava a mettere in disordine quel poco di senso che ero riuscita a dare a tutto quanto. Ha sbloccato quella scrittura che sembrava ferma per sempre e ha mostrato un mondo ancora più grande e affascinante di quello che avevo visto salendo a bordo di quel pulmino (che già mi sembrava immenso).

Dieci giorni immersa in un evento di portata internazionale, già da solo questo sarebbe bastato a rispolverare il “blocco dello scrittore”. Per fortuna ha avuto l’effetto contrario. Era il momento giusto, l’occasione per mettersi di nuovo alla prova in ogni senso: dal punto di vista lavorativo e umano. Io non lo so se l’ho superata
quella prova, ma se non sono stata perfetta per l’Euroblind, lui lo è stato per me.

Mi ha costretta a mettermi in gioco, di nuovo, mi ha dato fiducia, ma soprattutto responsabilità, quelle che aspettavo da una vita. E rientrando dalla finestra, ha come sbloccato quell’impasse in cui ero finita, incapace di dare un senso a tutto quello che mi ribolliva dentro.

Oggi quel documentario ce l’ho ancora in testa, ma credo anche di avere un po’ più di consapevolezza: le mie emozioni hanno probabilmente raggiunto il giusto livello di decantazione, sono pronte per passare prima attraverso i tasti del mio computer, poi attraverso la mia voce per andarsi a sommare alle immagini.

In attesa del documentario, ecco un riassunto dell’Euroblind 2013.

“I COLORI DEL SUONO” – LIGURIA CALCIO NON VEDENTI

Se parli con loro ti dicono che vedono la palla con l’udito e tu pur sforzandoti non riesci a credere che sia davvero possibile. Ma ti basta vederli giocare, passare due giorni con loro a bordo di un pulmino per capire che hanno ragione. Io l’ho fatto, questo è il risultato di un lungo, ma intenso viaggio che per motivi economici la Liguria Calcio non vedenti ha dovuto affrontare via terra e non comodamente a bordo di un aereo come è giusto che faccia una squadra che disputa un campionato a livello nazionale. Una fatica immensa, ma che è sembrata niente a fine partita e non solo per la vittoria che è meritatamente arrivata, ma perché ha avuto tutto un sapore particolare che spero riusciate a cogliere attraverso queste immagini.

Buona visione!

TORINO – SANREMO – MILANO

torino-night-highres“Non si può avere sempre paura di cambiare le cose, bisogna cambiare le cose anche per il semplice piacere di farlo, di metterle alla prova, di vedere come si reagisce ai cambiamenti, per vedere cosa accade”

Ho svuotato gli armadi e i cassetti, staccato foto e poster dai muri, impacchettato tutto quanto e preparato valigie dalle quali ora sono circondata in mezzo a questo salotto che quasi non riesco a riconoscere. E’ arrivato il momento di lasciare Via Foggia, di andar via da Torino. Una piccola sosta a Sanremo, giusto il tempo per trascorrere un po’ di tempo in famiglia dopo questi lunghi mesi di viaggi in treno e spostamenti continui; poi via verso Milano. Una nuova città, una nuova vita, una nuova esperienza. Dire che mi dispiace andar via, che qui ho vissuto momenti indimenticabili, è scontato, ma so che è il momento giusto per farlo, che sto facendo la cosa giusta e che è ora di camminare sulle mie gambe anche grazie a quello che Torino ha saputo darmi: fiducia e consapevolezza. So che è arrivato il momento di andar via e che ho più di un motivo per essere felice di trasferirmi a Milano, nonostante il mio scetticismo nei confronti di quella città.

Quando sono arrivata a Torino la prima volta, ho pensato che non fosse il posto giusto per me, che avevo fatto malissimo ad andar via da Savona, dove avevo vissuto e studiato fino a quel momento. Ma “la città sabauda dal sapore di gianduiotto”  ha saputo farsi amare giorno dopo giorno e, col tempo, si è conquistata la mia fiducia, il mio affetto, ci sono stati momenti in cui mi sono sentita più a casa qui che a Sanremo.

corsi-professionali-milano“Non si può avere sempre paura di cambiare le cose” e io non voglio avere paura, come non voglio lasciare questa meravigliosa città triste e sconsolata. Sto mettendomi in gioco un’altra volta e lo sto facendo più convinta che mai. Forse anche Milano ci metterà un po’ a farsi amare, sarà sicuramente tutto molto difficile, quanto meno all’inizio, ma parto con lo spirito giusto e con la volontà di “vedere cosa accade” e come reagirò ai cambiamenti.

Grazie Torino, per questi tre anni, per tutto quello che mi hai fatto vivere e per tutte le volte in cui hai spiazzato ogni mia aspettativa, mostrandoti meglio di quanto credessi. Sarà difficile dimenticarti, e comunque mi piace pensare che si tratti di un “arrivederci”, e che a pochi kilometri da Milano ci sarà sempre un posto che potrò considerare casa, venendo a trovare amici o a respirare un po’ di “ricordi passati” quando ne sentirò il bisogno.

Simona Della Croce

CIAO POLITECNICO, GRAZIE DI TUTTO!

“…e come sempre alla ‘fine’ di qualcosa di importante, un film, un disco, mi viene il groppo in gola: ma non perchè qualcosa è finito, per l’esatto contrario. Il mio lavoro è così, lo faccio da tanto e ogni volta è cosi: mi sembra sempre di stare a cominciare. Mentre tutti intorno a me festeggiano e tirano le somme, a me sale questa sensazione forte di essere di nuovo all’inizio di qualcosa…”

I saluti mi mettono tristezza, forse è per questo che anch’io di fronte alla fine di qualcosa reagisco pensando a quello che arriverà dopo piuttosto che a quello che è stato. Senso di insoddisfazione o troppa ambizione forse?! Non lo so, credo si tratti più di una forma di difesa. Ci sono stati momenti in cui questo Politecnico mi è stato veramente stretto, situazioni da cui sarei voluta scappare via a gambe levate e giornate passate a pensare che forse questa non era la strada giusta da intraprendere; per non parlare delle volte in cui, soprattutto durante i numerosi “momenti morti”, ho avuto la netta sensazione di essere qua a perder del tempo.

Ma forse sono stata troppo catastrofica, come al mio solito, non è vero che questo Politecnico non mi ha dato niente, anzi, probabilmente aveva iniziato a darmi qualcosa già nel momento stesso in cui sono arrivata qua per il colloquio. Sono stata selezionata su venti persone e sono stata voluta fortemente nonostante il mio impegno lavorativo domenicale, che avrebbe reso le cose più difficili, sono stata “scelta” e questo era sicuramente quello di cui avevo bisogno. Essere desiderata in mezzo a tanti, come in amore, credo sia la cosa più bella, perché ti dà la stessa sensazione di essere sola contro il mondo, ma più forte grazie a quell’amore o a quella fiducia.

Sono arrivata qua carica di aspettative e credo ce ne fossero anche abbastanza nei miei confronti, molte cose forse non sono andate come avrei voluto, inutile negarlo, altre invece sono arrivate inaspettate e credo siano proprio quelle che porterò con me, più di ogni altra nozione tecnica o accrescimento professionale. Una sicurezza e una consapevolezza che non sapevo nemmeno di avere. E’ uscita fuori, me l’hanno tirata fuori a forza? Forse un po’ entrambe le cose.

Se c’è una cosa che ho imparato da questa esperienza è che ogni cosa può essere chiesta, che ho le competenze per farlo e che devo farlo. Non c’è paura o timore che tenga, non c’è timidezza o senso di inferiorità. Sono sicuramente più di quel che credo e se questo stage mi ha fatta arrivare a questa conclusione ha motivo di essere considerato importante.

Grazie Politecnico (e con questo intendo soprattutto Tiziana ed Elena che giorno dopo giorno hanno “lavorato”  su di me, anche non in maniera esplicita), per aver creduto in me e per avermi aiutata a farlo io stessa. Mi mancherai, ma so che quella che sto per andare a fare è la cosa giusta, l’ho desiderata tanto, ho lottato per averla, proprio come mi hai insegnato tu, ho fatto telefonate senza timore pensando che quello fosse il mio lavoro, le ho paragonate ai re-call ai giornalisti, ho preso il coraggio a piene mani e ora che ho raggiunto quello che desideravo sono pronta a partire per questa nuova avventura. Tu non dimenticarmi però, guardami da lontano e continua a fare il tifo per me!

Simona Della Croce

STORIA E GIORNALISMO. PEPPINO IMPASTATO: DA TERRORISTA A SIMBOLO DELLA LOTTA CONTRO LA MAFIA. IL POTERE DELL’INFORMAZIONE E LA FORZA DELLA MEMORIA.

Da qualche settimana la mia Tesi di Laurea è consultabile nell’archivio online di “Libera  Associazioni, Nomi e Numeri contro le mafie”. E’ disponibile una versione integrale coperta da Licenza Creative Commons. Un lungo lavoro di ricerca e scoperta di una figura come Peppino Impastato che nessuno di noi dovrebbe dimenticare. Più che una Tesi per me ha rappresentato un’esperienza di vita indimenticabile, che ha raggiunto il suo apice nel momento in cui ho avuto modo di incontrare e intervistare Giovanni Impastato. Spero che il mio lavoro possa trasmettere tutta la passione, la forza e anche un pizzico di quella rabbia che è riuscito a smuovere in me.

Cliccando sull’immagine è possibile visualizzare la Tesi.

VIA FOGGIA, 22

Mancano ancora due mesi, ma a me sembra di doverla lasciare oggi. Già, perché Via Foggia non è solo una casa, ma molto di più. Credevo che rimanere qui ancora un altro po’ avrebbe reso il distacco meno doloroso quando sarebbe inevitabilmente arrivato; invece forse fa ancora più male ora che io resto e gli altri vanno. Anna ha già fatto le valigie, stasera abbiamo ripulito casa e domani saremo pronte a riconquistare la nostra caparra, ma solo ora capisco che il dolore più grande non sarebbe stato quello di dover lasciare questa casa in cui ho vissuto momenti indimenticabili; ma quello di vederci andare via verso le nostre strade che hanno, per forza di cose, preso direzioni diverse.

Via Foggia finisce oggi e i prossimi due mesi saranno semplicemente un periodo di transito verso qualcos’altro, un finale un po’ più lungo degli altri di un tempo che non tornerà più. Vorrei tornare indietro per un attimo, a due anni fa, ma allo stesso tempo c’è qualcosa dentro che mi spinge ad andare avanti convincendomi che ogni cosa ha il suo tempo e questo per noi è terminato. Io resto, ma Via Foggia va via con Anna e con Stefania che mercoledì hanno salutato insieme a me questa casa e questi anni, promettendoci di ritrovarci a Verona tra pochi mesi.

Mi mancherai Via Foggia, non sai nemmeno quanto, come mi mancheranno tutte le persone che ti hanno “conosciuta” e che, in un modo o nell’altro, se ne stanno andando insieme a te. Quante risate, quante gioie…e quante lacrime ho versato qua dentro. Mi sono divertita, ho riso, scherzato, ho gioito per traguardi raggiunti, mi sono innamorata e mi sono disperata per essermi innamorata così tanto e così forte al punto che per un po’ ti ho anche odiata Via Foggia…ah sì quanto ti ho odiata, quando non facevi che ricordarmi quello che volevo dimenticare, che allo stremo della rabbia ho desiderato di non averl mai vissuto. Ma tu Via Foggia, mi hai fatto capire che stavo sbagliando e che dovevo andare avanti; mi hai messo a fianco Anna e Stefania, la mia famiglia torinese e mi hai accompagnata alla fine del traguardo, mi hai fatto compagnia nella preparazione degli ultimi esami e mi hai avvolta nel tuo abbraccio nello sprint finale di scrittura della Tesi e in quei momenti, Via Foggia, non mi sono mai sentita sola, nonostante i ricordi, nonostante la stanchezza.

Ed è proprio qua che Via Foggia finisce, nel momento in cui io raggiungo quel traguardo e inizio a cambiare vita, a rimanere a Torino per lavoro e non per Università, inizio a munirmi di bicicletta, a impadronirmi della città come se mi stessi impadronendo della mia vita; questa volta davvero, senza rimpianti e senza timori. Via Foggia per tutto questo e molto altro mi mancherai come mai prima. Ma grazie di tutto, per avermi fatta crescere, per avermi regalato anni meravigliosi e per non avermi mai lasciata sola.

E per ogni cosa che finisce ci sono sempre ricordi che riaffiorano alla mente. Quel telefonino silenzioso e quella “stordita” della mia coinquilina che ha rischiato di perdere il suo posto in singola nello stesso momento in cui l’ha conquistato; il “cinesino” di benvenuto, il bolide (e il tipo che te l’ha venduta per 30 Euro, per anni ho sperato di stringergli la mano un giorno!) e la ricerca di un paio di stivali in tutta Torino. Il tamango e il ritorno a casa, gli aperitivi in Piazza Vittorio, al Rossini. Le litigate telefoniche, il “mi butto, mi butto” e il “si è suicidato”, il “Simo ti chiedo scusa per entrambi” o il “domani me ne vado, cerco un altro appartamento”. Una coinquilina stanca e stremata per i troppi viaggi in treno, ma anche felice grazie ai tanti viaggi in treno. La tisana di gruppo la sera prima della mia laurea, il mio discorso sul letto di Anna, ripetuto all’infinito, l’ansia da relatore che non risponde o che ti risponde da sotto le bombe. La Cristina che mi abbraccia invitandomi a Verona, nello stesso momento in cui mi ha conosciuta (come dimenticarla!), la vellutata di piselli con il pepe o le carotine al sugo. “Il meglio di Annina” su cui appuntare ogni espressione veneta, e la sua lettura da parte del padrone di casa: “Vai in cul? Non capisco…”, o di mio fratello di ritorno dalla Sicilia. La Giorgia e la Sveva. Sentirti raccontare in Piazza Vittorio le tue gaffes agli esami. E poi sarebbe stupido negarlo, ma non posso non ricordare quel ponte di Giugno, qualche anno fa, quei giorni indimenticabili per cui ti ho tanto odiata. Ricordi in valigia, insieme ai bagagli che li raggiungeranno tra qualche mese e testa avanti proiettata al futuro, per un nuovo inizio ed una Via Foggia.

LIVE FROM PERUGIA. IL RITORNO

Dicono che un’emozione vada scritta quando è ancora calda, allora scrivo ora. Ora che la valigia è quasi chiusa, che  la stanchezza comincia a farsi sentire e che sembra essere tutto finito, quando invece a me sembra appena iniziato. Questo perché Perugia mi ha dato tanto, non solo a livello professionale, ma soprattutto umano; perché Perugia mi ha ridato quell’entusiasmo che da troppo tempo sembrava perso e che invece è ancora vivo, per fortuna, dentro di me. Domani si torna a casa, lascio Perugia e insieme a lei lascio anche una piccola parte di me, forse quella che avrei dovuto lasciare andare da un pezzo ormai; la lascio qui perché questa città mi sembra tanto simbolica per il peso che devo lasciarmi alle spalle da essere quasi perfetta, e non esagero dicendo questo. La lascio qui perché ho bisogno di ripartire e non in quinta, ma in prima piano piano lentamente, ingranando bene tutte le marce, facendo prendere alla macchina della mia vita la giusta direzione con il giusto passo, non posso permettere che una marcia troppo lunga faccia spegnere di nuovo il motore. Riparto da qui, da un’esperienza eccezionale, da una settimana di conferenze, workshop, eventi, nuove conoscenze, nuovi momenti da ricordare, e riparto per non fermarmi più, con il desiderio che quel peso che ormai mi porto dietro da troppo tempo non abbia voglia di seguirmi. Domani si parte non verso una nuova vita, ma verso quella che avrebbe dovuto essere la mia vita già da qualche mese ormai. Domani si sale su quel treno con una valigia di ricordi e si torna a casa lasciando qua quelli dolorosi e portando via solo quelli belli, quelli che mi fanno sorridere ancora, malgrado tutto; quelli che vale la pena portare con sé perché il resto, tutto il resto, è passato e nonostante sia estremamente importante è anche un fardello che non riesco più a gestire, che non si può sostenere ancora, allora forse è meglio lasciarlo andare, malgrado i mille pensieri, le mille bugie, nulla ha più senso ormai, meglio lasciare qua tutto, anche se sto già male al solo pensiero di abbandonarlo. Però so che lasciarlo è la cosa giusta e, ripeto, sono convinta che Perugia sia il luogo adatto per mettere la parola fine, perché è da qua che quel “tutto” avrebbe potuto avere inizio davvero, peccato solo che non lo si sia voluto abbastanza.

Ciao Festival!

Grazie!

LIVE FROM PERUGIA! UNA SETTIMANA DA VOLONTARIA!

Ci ho messo un po’, ma alla fine ce l’ho fatta! Eccomi finalmente qua ad aggiornare il blog durante questi giorni frenetici, ma così belli ed importanti da essere quasi difficili da raccontare. Non so proprio come farvi respirare l’aria che si respira in questa splendida città umbra. Inizio con qualche foto dell’apertura del Festival Internazionale del giornalismo avvenuta martedì sera con un monologo di Roberto Saviano sulla “macchina del fango”.

Ad un passo dall’ingresso del Teatro non sono riuscita ad entrare, lunghissima la fila di persone che fin dal primo pomeriggio si sono accalcate davanti al Teatro Pavone per assistere alla conferenza, pochissime quelle che sono riuscite a vederlo dal vivo, colpa anche della poca capienza del piccolo Teatro e troppe quelle che si sono dovute accontentare del maxischermo.

Ieri è stata la prima ufficiale giornata del Festival Internazionale del Giornalismo, che si terrà qui a Perugia fino a domenica 17 aprile, e la prima giornata da volontaria. Conferenze, microfoni, workshop, tutto il mondo del giornalismo mondiale ha gli occhi puntati su Perugia e in ogni momento anche un piccolo volontario sente di farne parte, di contribuire ad una manifestazione che forse non cambierà le cose, ma che ha quantomeno il desiderio di far riflettere su tutto quello che in questo giornalismo non funziona, ma anche di valorizzare tutto quello (ed è molto) che invece sta rivoluzionando il modo di fare informazione. Tra le cose che non funzionano vi è secondo Luca Telese proprio l’Ordine, un meccanismo troppo vecchio per rispondere alle esigenze di una professione in continua evoluzione che, oggi, non è ancora in grado di dare una prospettiva futura certa ai tanti di giovani che vorrebbero intraprendere questa carriera.

“Come non si diventa giornalisti”, si intitolava così il monologo che ieri sera il giornalista de “Il Fatto Quotidiano” e conduttore di “In Onda”, tutti i weekend su La7 ha tenuto al Teatro Pavone, conquistando letteralmente tutti i presenti. Un monologo importante che attraverso la consapevolezza e l’esperienza di un giornalista che ci ha messo ben 12 anni,(pur scrivendo da altrettanti, se non di più) a diventare professionista, rischiando e lottando ogni giorno per conquistarsi il suo posto; ci ha raccontato l’evoluzione di una professione da Amerigo Vespucci al Referendum della Fiat di qualche mese fa.

Non esagero se dico che da quella conferenza siamo usciti tutti entusiasti, non solo per aver visto quella che io considero una vera e propria lezione universitaria di giornalismo, tenuta da una delle migliori giovani firme della nostra informazione; ma soprattutto per la speranza e l’entusiasmo che Telese stesso ci ha trasmesso. Troppe volte chi vorrebbe fare questo mestiere si è sentito dire “andate a fare Medicina” o “non illudetevi di entrare in un giornale, questo mondo ormai è saturo”. Per la prima volta dopo anni di studio e di incontri con personaggi di questo calibro mi sono sentita dire “non smettere di crederci, non abbandonare l’idea perché stanne certa, il momento prima o poi arriva per tutti”. E allora se, come dice Telese, solo la paura e il coraggio sono contagiosi, io sono fermamente convinta di non voler farmi contagiare dalla paura!!!

E che il Festival continui!!!

Simona Della Croce


LINFESTIVAL FROM SANREMO

Inizio questo blog parlandovi di  “Linfestival from Sanremo”, un programma della durata di cinque puntate, organizzato da Linfa tv e andato in onda su Televentimiglia e Claim tv, a cui ho partecipato in qualità di analista, durante la 61° edizione del Festival della canzone italiana. Un talk show di critica televisiva sulla kermesse canora in cui un gruppo di analisti, in gran parte studenti di comunicazione e appassionati di televisione, ha avuto il piacere di confrontarsi con una serie di ospiti che si sono alternati sul palco, o sono intervenuti telefonicamente: Duccio Forzano, regista di questa edizione del Festival;  Mara Maionchi, produttrice musicale; Felice Rossello, autore televisivo di Fabio Fazio, ideatore del format di “Quelli che il calcio”, nonché professore di Discipline dello spettacolo presso il Campus Universitario di Savona e molti altri.

Vi posto alcuni video della trasmissione, le puntate complete le potrete trovare qua:

Linfestival from Sanremo

Buona visione!!!